Gesù può essere chiamato il “figlio di Dio”?
“Gesù non può essere chiamato ‘Figlio di Dio’”
Una delle obiezioni più comuni all’Ingīl è che usa ripetutamente il titolo “Figlio di Dio” per Gesù. Come vedremo in dettaglio più avanti, questo titolo nell’Ingīl non si può riferire a una relazione biologica (Dio non voglia!) ma ad una mera descrizione metaforica. Nella conclusione di questo articolo vedremo come l’insegnamento coranico che sembra negare che Gesù è il “Figlio di Dio”, in realtà è in accordo con il Santo Ingīl se capiamo in modo corretto le parole in lingua araba.
Fraintendere il linguaggio metaforico
Gli ebrei, i cristiani e i musulmani hanno tutti diverse volte inteso in modo errato alcune frasi della Parola di Dio in questo senso. Una volta, per esempio, c’era la credenza in una setta all’interno dell’Islam (Mushabba e Zahria) che Dio avesse un corpo. Ritenevano che possedesse delle caratteristiche fisiche come mani e volto. Dei passaggi nel Qur’ān e negli Hadith che descrivevano Dio che siede sul Suo trono o che stende le Sue mani sulla spalla del profeta Maometto (psdl) venivano interpretati alla lettera e usati per giustificare questa credenza (1).
Col passare del tempo, tuttavia, gli studiosi e gli studenti dell’Islam hanno pian piano realizzato che tali passaggi non dovevano essere presi alla lettera. Dalla testimonianza di altri più chiari passaggi si era capito che Dio non ha un corpo o delle limitazioni fisiche. Hanno quindi inteso che passaggi come questi dovevano essere presi metaforicamente. E una volta compreso questo, è apparso chiaro come altri passaggi complicati necessitavano di una interpretazione. Quindi, Hadith come i tre che seguono erano impossibili da capire se interpretati letteralmente.
Il Profeta ha detto:
Hadith #1 – La pietra nera della Kaaba è la mano di Dio.
Hadith #2 – Il cuore di un musulmano è tra le dita di Dio.
Hadith #3 – Ho sentito l’odore di Dio dallo Yemen.
(Islami Darshan, p. 169)
In quanto impossibili da interpretare letteralmente, gli Hadith appena citati possono essere capiti attribuendogli un’interpretazione indiretta, metaforica. Facendo questo, le difficoltà svaniscono e il vero significato diventa immediatamente manifesto.
I fraintendimenti religiosi sulla natura di Dio non si sono limitati al Qur’ān e agli Hadith. Nel corso della storia la Torah, gli Zabur e l’Ingīl hanno sofferto questo tipo di problemi di interpretazione. A motivo di interpretazioni errate, si è sollevato un gran numero di equivoci.
Il significato metaforico di “Figlio di Dio”
Senza dubbio il fraintendimento più diffuso e serio è quello collegato alla locuzione che si trova spesso nell’Ingīl: “Figlio di Dio”. In alcuni casi il termine si riferisce all’intera nazione ebraica, in altri a tutti coloro che credono in Dio e, in altri casi, anche al Profeta Gesù. Dedichiamo un po’ di tempo ad analizzare questo termine e cercare di capire come viene usato e cosa effettivamente significa.
Coloro che si sono opposti al termine hanno cercato di capirlo nel suo significato letterale. Fare questo significa imbattersi in serissime difficoltà. Prendendolo letteralmente, significherebbe che Dio ha avuto una moglie e che ha generato fisicamente dei figli (Dio non voglia!). Infatti, un tale pensiero blasfemo contraddice il chiaro insegnamento dell’Ingīl stesso. Ora, Gesù ha insegnato nell’Ingīl che Dio è uno e non ha una compagna. L’Ingīl insegna anche chiaramente che Dio non ha un corpo fisico, ma è spirito. L’idea che Dio abbia fisicamente concepito un figlio è tanto impossibile quanto blasfema. Quindi, coloro che hanno provato a capire il termine in un modo letterale si sono trovati di fronte allo stesso problema insormontabile che hanno affrontato coloro che hanno interpretato i suddetti passaggi del Qur’ān e degli Hadith alla lettera.
Infatti, è una credenza condivisa da tutti i seguaci dell’Ingīl che il termine “figlio di Dio” deve essere interpretato metaforicamente. Non solo tale tipo di interpretazione in senso figurato evita i problemi e le difficoltà della comprensione letterale, ma è anche sostenuta da altri fattori. Diamo un’occhiata ad alcuni fattori al fine di accettare l’idea simbolica e metaforica del termine.
“Figlio di Dio” negli Zabur
Prima di tutto, gli Zabur (Salmi) di Davide, scritti centinaia di anni prima dell’epoca di Gesù, chiamano il “Messia” che deve venire “Figlio” di Dio a cui sarebbe stata data da Dio l’autorità sulle nazioni. Sappiamo che nella lingua e nella cultura ebraica un Gran Re avrebbe chiamato il suo califfo o il suo viceré di provincia suo “Figlio”. Quindi, quando Gesù chiama sé stesso “Figlio”, coloro che capivano correttamente la Scrittura non si opponevano perché sapevano che il Messia sarebbe stato chiamato “Figlio di Dio” e sapevano già il corretto significato metaforico simile corrispondente a “califfo” (Salmi 2:7, 11-12).
“Figlio di Dio” non è il solo titolo di Gesù che è ovviamente metaforico: sia il Qur’ān chel’Ingīl chiamano Gesù la “Parola” di Dio. Qui il titolo non può chiaramente essere preso come un suono letterale, una lettera o una parola. Piuttosto, il termine deve essere ed è inteso metaforicamente. Una parola è essenzialmente un mezzo o uno strumento di comunicazione che veicola i pensieri e i desideri di qualcuno ad un altro. Proprio in questo modo Gesù era la Parola di Dio: il mezzo di comunicazione di Dio con l’umanità. Attraverso Gesù, Dio poteva esprimere i Suoi pensieri e i Suoi desideri all’uomo. Ora, poiché è ovvio che un titolo di Gesù – la Parola di Dio – deve essere compreso metaforicamente, non è difficile supporre che un altro titolo – Figlio di Dio – deve similmente essere compreso metaforicamente. Tale supposizione è ampiamente confermata altrove.
Altri usi metaforici di “Padre” e “Figlio”
È una semplice questione linguistica il fatto che la locuzione “figlio di” e “padre di” assumono spesso un significato metaforico come proponiamo. Esaminiamo innanzitutto la formula “padre di” e guardiamo ai suoi vari usi figurati. Quindi, si dice comunemente che questa o quella persona è un “padre” della nazione. Nessuno sarebbe così folle da pensare che la persona così chiamata ha in effetti concepito ogni cittadino di quella terra. A motivo dell’importante ruolo che quella persona ha giocato nell’indipendenza e nello sviluppo della nazione, gli viene dato l’alto, onorifico e affettivo titolo di padre della nazione. Implica semplicemente la stretta relazione che quella persona ha con il suo paese.
Questi usi metaforici del termine “padre” non si limitano agli uomini soltanto. Li vediamo anche applicati a Dio. Dio è, dopo tutto, il creatore, colui che provvede e il sostenitore di tutte le cose. La prima Sura del Qur’ān (Sura Fateha) inizia con le parole Bismillah Rabbil Alamin. Nel loro commentario della sura, i dottori in medicina Abdul Hakin e Ali Hassain scrivono: «Alcuni interpreti credono che la parola “Rabb” venga dall’arabo “Ab”, la radice della parola “padre”». Ancora una volta, nessuno sarebbe così folle da intendere rabb, come è applicato qui, a Dio nel senso letterale e fisico di padre. Poiché riferito a Dio, ha ovviamente un significato metaforico e spirituale. Dio non è il padre fisico della Sua creazione. Eppure, senza il Suo potere e la sua potenza che guida tutto, nessuno avrebbe potuto essere creato. Lui è la vera forza creativa e la potenza dietro ad ogni creatura nata in questo mondo. Lui è il rabb del mondo, il padre metaforico e la forza creatrice.
Scendendo nei particolari ad un livello più personale ed individuale, dobbiamo concludere che ogni bambino nato in questo mondo è il risultato diretto dell’attività creativa di Dio. Quante coppie senza figli sono costrette a riconoscere la verità che a meno che Dio non muova e renda possibile attraverso la sua potenza creativa, i nostri sforzi per ottenere una discendenza sono destinati al fallimento? Possiamo vantarci nel nostro orgoglio di essere il creatore e il padre di un bambino, ma alla fine dobbiamo riconoscere che tali titoli possono giustamente essere dati a Dio soltanto. Ancora, non parliamo di una paternità letterale e fisica, ma piuttosto della potenza creativa di Dio che rende le cose possibili. Quindi, effettivamente, come i commentatori coranici hanno concluso sopra, Dio è il padre della Sua creazione, incluso dell’uomo.
Diamo un’occhiata ad alcuni usi metaforici del termine “figlio di”. Uno di questi usi si trova nel Qur’ān, Sura 2:215. In questo passaggio un viaggiatore instancabile, un girovago, è chiamato “figlio della strada” (ibn as-sabīl, ابْنِ السَّبِيلِ). Vediamo ancora che una interpretazione letterale sfiderebbe la ragione. Una interpretazione fisica e letterale è chiaramente impossibile. La persona che ha un tipo di rapporto così stretto con la strada viene chiamato suo figlio. Vediamo ancora che l’intimità o la vicinanza è l’essenza del termine “figlio di” o “padre di” nei loro usi figurati.
Ulteriori evidenze del suo significato nell’Ingīl
Questa conclusione è confermata anche dall’Ingīl. Pertanto, in un passaggio troviamo Gesù affrontare alcuni capi Giudei. Nel loro orgoglio si vantano davanti a Gesù di essere figli di Abrahamo; se fossero figli di Abrahamo farebbero la volontà di Dio come l’ha fatta Abrahamo; invece cercavano di fare il male. Gesù quindi conclude: “Voi siete del diavolo, che è vostro padre, e volete fare i desideri del padre vostro” (Giovanni 8:44).
In senso fisico, letterale, quei Giudei avevano davvero ragione. Erano fisicamente discendenti, figli di Abrahamo. Eppure, Gesù vide al di là del significato letterale per andare al valore più profondo che sta dietro al termine. Le loro opere mostravano chiaramente che spiritualmente questi Giudei erano più vicini non ad Abrahamo, l’uomo di Dio, ma a Satana e alla sua natura orgogliosa e ribelle. Quindi, chiamarli “figli di Satana” era assolutamente corretto e appropriato.
Analizzati questi comuni usi metaforici delle locuzioni “padre di” e “figlio di”, ci troviamo nella posizione di poter capire meglio l’utilizzo che l’Ingīl fa del termine “figlio di Dio”. Come negli esempi qui sopra, ha indiscutibilmente un significato metaforico e spirituale. Serve per enfatizzare la persona che più di tutti ha una stretta relazione con Dio. Così come qualcuno che è guidato da Satana viene chiamato “figlio di Satana”, così colui che gode di un rapporto spirituale stretto ed intimo con Dio è chiamato “figlio di Dio”. Per esempio, troviamo il seguente passaggio nell’Ingīl: “Perché se vivete secondo la carne voi morrete; ma se per mezzo dello Spirito fate morire le opere del corpo, voi vivrete. Poiché tutti quelli che sono condotti dallo Spirito di Dio sono figli di Dio” (Romani 8:13-14).
Il termine “figlio di Dio”, quindi, nell’Ingīl non ha un accezione fisica. Il popolo ebraico era chiamato “figlio di Dio” nei suoi primi anni, quando viveva ancora in ubbidienza a Dio. Invece, quei Giudei che successivamente si sono allontanati da Dio nell’orgoglio e nella ribellione sono stati dichiarati “figli di Satana”. A chiunque, ebreo o non ebreo, disposto a far morire i propri desideri egoisti più intimi e seguire Dio, gli viene dato nell’Ingīl il titolo di “figlio di Dio”.
Possiamo meglio capire adesso perché a Gesù viene conferito così spesso questo titolo, visto che ubbidisce a Dio, è dipendente da Dio e che la sua intima relazione con Dio va ben al di là della nostra limitata esperienza. È altrettanto evidente che il titolo è sgravato dalle accuse che così spesso gli vengono sollevate. Non implica certamente nessuna relazione fisica a Dio e nemmeno attribuisce caratteristiche fisiche a Dio. Piuttosto, denota una vita vissuta in una stretta relazione spirituale con l’Unico creatore che sostiene tutte le cose.
Il Qur’ān nega il “Figlio di Dio”?
A questo punto molti potrebbero chiedere se le affermazioni del Qur’ān contro il “Figlio di Dio” possono essere conciliate con l’utilizzo del termine che ne fa l’Ingīl. Analizziamo queste dichiarazioni nel Qur’ān. Ma prima dovremmo distinguere tra i due termini arabi per “figlio”: ibn (ابْنِ) e walad (وَلَدً).
“Ibn” (ابْنِ) è il termine più ampio che spesso ha un significato metaforico, non biologico, come in “figlio della strada” (ibn-alssabeeli, ابْنِ السَّبِيلِ, Qur’ān 2:215). Questa è l’esatta traduzione araba del concetto “Figlio” usato per Gesù nella Bibbia (υἱός), corrispondente alla parola ebraica bin, בּן .
“Walad” (وَلَد) designa un figlio nato da rapporti sessuali, quasi come il termine italiano “discendenza” o “prole”. Questo termine è assolutamente inappropriato per descrivere la relazione tra Gesù e Dio (Dio non voglia!).
Adesso guardiamo ai versi nel Qur’ān che hanno a che fare con questo tema:
“Dicono: «Il Compassionevole [Allah] si è preso un figlio [وَلَد, walad].» Gloria a Lui! Quelli non sono che servi onorati…” (Sura Anbiya 21:26)
“Se Allah avesse voluto darsi un figlio[وَلَد, walad], avrebbe scelto chi voleva tra ciò che ha creato. Gloria a Lui! Egli è Allah, l’Unico, il Dominatore.” (Sura Zumar 39:4)
“In verità Egli – sia esaltata la Sua maestà – non si è preso né compagna, né figlio [وَلَد, walad].” (Sura Jinn 72:3)
“Il Creatore dei cieli e della terra! Come potrebbe avere un figlio [وَلَد, walad], se non ha una compagna, Lui che ha creato ogni cosa e che tutto conosce?” (An’am 6:101, 2:116, 10:68, 17:11, 18:4, 19:35,88,91-92; 23:91; 25:2)
Risulta chiaro dai versi appena citati che il Qur’ān sta parlando di un concetto molto diverso da quello di “Figlio” di cui parla l’Ingīl. Infatti, il Qur’ān sta parlando di “figlio” come discendenza carnale, letterale attraverso dei rapporti sessuali con una consorte (Dio non voglia!). Il Qur’ān deve aver rimproverato una comunità di fuorviati, chiamati “cristiani” in Arabia, che avevano frainteso l’Ingīl e dicevano che Gesù era il walad di Dio, generato da un rapporto sessuale con Maria (Dio non voglia!). Un’eresia tale è stata vivamente rigettata dai seguaci di Gesù nel Concilio di Nicea (2). Tutti i veri credenti in Gesù concordano col Qur’ān sul fatto che “Dio non si è preso una compagna né un figlio”, considerando questa un’idea perversa.
Dato che il Qur’ān afferma la verità dell’Ingīl che ripetutamente usa il concetto metaforico di “Figlio di Dio”, questa può essere l’unica interpretazione in linea sia col Qur’ān che con l’Ingīl.
Vedi anche “Gesù può essere chiamato Signore”?
- Islami Darshan , Islamic Foundation: Dhaka, p.19.
- Vedi l’articolo sul Concilio di Nicea.
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